La rabbia, emozione energetica e indispensabile o emozione dannosa?
La rabbia, la nostra o quella di altri, è una delle emozioni più difficili da gestire; nonostante sia sensata, indispensabile ed energetica, è, nello stesso tempo, portatrice di “danni”, intesi come problematicità che rendono la vita difficile da portare avanti.
Per certi aspetti la rabbia è davvero fonte di vitalità, e tende a mirare verso l’autoaffermazione ed una maggiore efficacia. Il problema nasce quando viene espressa in maniera impulsiva o inibita, quindi nei momenti in cui non ha un libero sfogo, incanalato in una direzione di costruzione e non di distruzione. Basta ricordare alcuni esempi di film in cui la rabbia inibita e compressa per lungo tempo, sfocia all’improvviso in violenza incontrollata, e, viceversa, notare come sia facile assistere a scoppi di ira derivati da senso di impotenza e frustrazione, come accade nel traffico o in situazioni di stress.
La rabbia, emozione simile ad un paravento, in realtà nasconde dolore e paura e generalmente si attiva quando si percepisce l’incapacità o l’impossibilità di affrontare una sofferenza in altri modi.
In specifico, la rabbia d’impotenza, intesa come l’impossibilità di fare qualcosa, dà la sensazione di essere in gabbia, chiusi, bloccati, mentre qualcosa accade. La sensazione di impotenza genera frustrazione, dolore, senso di inadeguatezza ed è più forte se manca od è carente la stima di sé. Oppure è più cocente se si ha sempre il desiderio, quasi ossessivo, di dire l’ultima parola mentre, spesso, mollare è la strategia migliore. Mollare nel senso di lasciare perdere qualcosa che non è particolarmente importante ma che è solo lesivo del proprio narcisismo. Le ferite più dolenti, infatti, sono quelle che ledono il senso di sé e del proprio valore, cioè le ferite narcisistiche, innescate dal dolore terribile di sentirsi umiliati, disprezzati e non riconosciuti nel proprio valore. Queste ferite sono come una scalfittura sullo smalto che ci riveste, quella sorta di patina che ci fa sentire bene, il nostro narcisismo. Questa scalfittura, che fa così tanto male, va risanata, dando il giusto valore a ciò che si è ricevuto, ad esempio elaborando strategie per prendere distanza da pensieri e “ruminazioni”, generalmente distruttive. Un metodo per farlo, in modo da osservare con maggiore serenità ciò che è accaduto, è la meditazione, intesa come momento per fermarsi. Questo momento di sospensione è lo spazio e il tempo in cui prendere contatto con il proprio respiro, osservarlo, vedere dov’è, come è, e ciò risulta utile per ritrovare un collegamento con il proprio interno. L’osservazione, poi, può passare ai pensieri che si guardano andare via, scorrerci davanti, evitando di immergersi dentro e rimanere invischiati.
Certo non è facile spiegare e trasmettere cosa sia la meditazione, il fermarsi in un momento con noi stessi, l’osservazione di qualcosa che c’è e passa, come un flusso che non ci tocca ma di cui siamo consapevoli. Importante è trovare il modo di sperimentare questi momenti, con persone competenti, che sappiano anche accogliere ciò che emerge a livello di sensazioni ed emozioni.
L’elemento più importante, comunque, nei momenti di ansia, oppure se si hanno attacchi di panico, o quando sembra di perdersi, frantumarsi, cadere, è sentire e riconoscere il bisogno di ritrovare quella parte di sé grande, adulta, protettiva, compassionevole, accogliente e benevola che si occupi di quella piccola, indifesa, insicura, arrabbiata, dolorante ed impaurita. Perché è solo nell’armonia delle nostre parti che possiamo trovare quella serenità e quegli atti creativi che ci portano a migliorare la nostra qualità di vita.
Giulia Checcucci